La palla passa alle Banche Centrali; Borse in moderato rialzo e in attesa delle decisioni, in calo i tassi

MERCATO AZIONARIO

Ci si ‘lamentava’ per la inusuale bassa volatilità delle borse ed ecco che qualche sussulto nella settimana appena terminata è arrivato, con i listini che hanno ripreso a vibrare nuovamente per quel tema, quello delle banche regionali americane, che restava in penombra dopo il terremoto di marzo. Un tema che ha nuovamente investito First Republic, la banca da cui, insieme alla defunta Silicon Valley Bank, il mercato ha preso atto delle conseguenze sui bilanci bancari del rialzo dei tassi impresso dalla Fed. First Republic è crollata nuovamente, portandosi ad un -97% da inizio anno, dopo l’evidenza di un’altra fuga dei depositi (-100 mld), evento che la avvicina ormai ad una triste fine e con il governo USA che valuta come intervenire. Solo (s)vendite di asset, nuovi investitori o altre toppe di liquidità (come quella messa dalle grandi banche da 30 mld) può ora invertire la rotta. Le borse hanno incorporato la notizia con un mini storno di un paio di sedute, salvo poi riprendersi grazie alla sequenza di trimestrali che sono state pubblicate e che hanno mostrato dei dati complessivamente buoni, in particolare per il mondo dei tech. Un fattore importante per la tenuta e le prospettive delle principali borse USA visto il peso di queste capitalizzazioni sul totale dei listini americani. Partendo da attese prudenti, ne è risultata una conclusione da ‘scampato pericolo’ e sono visti poi, infatti, buoni recuperi e ripristino verso valori che, nella sostanza, non mutano molto il quadro generale. Anche perché nell’altro campo di gioco, quello dell’obbligazionario e dei tassi, tra alti e bassi il mercato cincischia ancora attendendo le parole delle banche centrali della prossima settimana per capire le intenzioni di Fed e BCE. La tendenza rimane più improntata ad una tendenza moderatamente ribassista, elemento che sta aiutando anche l’equity a ripercorrere al contrario il percorso del 2022.

Proprio sul piano macro si aspettavano in settimana notizie e aggiornamenti circa lo stato dell’economia USA e di quella europea, ognuna delle quali vive uno specifico momento. Se per gli USA le valutazioni riguardano quanto il rallentamento in corso sia intenso e quali siano i rischi di cadere in una formale recessione, per l’Eurozona il momento non è ancora arrivato (ma dovendo scontare di più in termini di effetti della politica monetaria). Primo dato osservato, quello del PIL USA, uscito sotto le attese (1,1% vs 1,9%) ma più per voci extra che se eliminate, riportano il valore su livelli più elevati e, nel complesso, ancora sufficienti, oltre che supportati ancora da dinamiche positive sui consumi. Gli altri dati mostrano invece qualche segnale di miglioramento sull’immobiliare (ma le ombre rimangono), una volatilità sul trend del mercato del lavoro (sussidi di disoccupazione), valori deboli sul manifatturiero e invece quelli dei servizi ancora in salute (e che sono responsabili di quanto si vede ancora in termini di inflazione). In Europa il trend dei prezzi al consumo è stato in chiaroscuro: in calo e sotto le attese in Spagna (4,1%) e Germania, in progresso invece in Francia (+5,9%); da non sottovalutare, proprio in Germania, l’evoluzione delle tensioni salariali, un elemento che potrebbe dare ancora man forte alla BCE nei suoi propositi restrittivi già dal prossimo meeting.

Questa è stata la prima delle due settimane più importanti in tema di trimestrali USA, in cui si concentrano le società che raggruppate compongono una bella fetta della capitalizzazione di Wall Street. E il trend visto nella prima parte dell’earnings season non accenna a invertirsi e anzi si rafforza grazie ai dati che sono stati rilasciati dal settore tecnologico. Con il 50% delle aziende che hanno rilasciato i dati, si evidenzia un +6% (finora) di delta migliorativo rispetto alle attese, valore che non riuscirà probabilmente a portare in positivo il trimestre che però sarà meno cupo del previsto. Vero che avere dei pesi massimi come Microsoft (+10% sulle attese), Alphabet (+7%), Meta (+10%) aiuta parecchio l’indice, rimuovendo, almeno per il momento, i timori di un effetto materiale del rallentamento già sugli utili di inizio anno. E buoni sono stati comunque anche i dati di altri settori, come Food & Beverage (MCDonalds, Coca Cola, Pepsico), Servizi Finanziari (Visa) o diversificati come Unilever. Sul fronte “fondamentale” da annotare nella giornata di venerdì la debolezza del settore bancario europeo, dopo che diversi esponenti della BCE hanno richiamato la possibilità di maggiori requisiti di liquidità, onde fronteggiare situazioni di stress improvviso.

La settimana del principale indice mondiale, l’S&P 500, ha visto differenti fasi di mercato: una prima, caratterizzata da debolezza e condizionamenti negativi

(soprattutto in ambito bancario), che ha portato il paniere ad avvicinarsi ai 4.000 punti e un successivo recupero trainato soprattutto dalle trimestrali uscite nel comparto Tech. Il saldo è quindi tonico, con le quotazioni che rimangono poco sotto i massimi raggiunti nello scorso febbraio e una configurazione che resta nel complesso moderatamente rialzista. Due note di analisi tecnica pura: in primo luogo, il close mensile a 4.130 punti rappresenta un crocevia strategico per l’indice in quanto ha definito l’argine prima della caduta di metà 2022 e poi ha impedito più volte un recupero delle quotazioni, il close di aprile rappresenta ora un elemento a favore per la tesi rialzista. In secondo luogo, la struttura di volatilità calante e moderata è anch’essa un elemento a supporto: i prezzi nel mese di aprile hanno avuto una escursione di appena 120 punti. Nella prossima settimana, riunioni di Fed/BCE e trimestrali daranno una spinta verso una maggiore direzionalità. Se l’S&P 500 chiude con un buon +0,9%, meglio ha fatto il Nasdaq 100 (+1,9%), mentre soffrono ancora le medie e piccole capitalizzazioni, danneggiate dall’attuale contesto sfavorevole già rimarcato. Negativa invece l’Europa, con l’Eurostoxx che cede circa lo 0,5% e zavorrato dal comparto finanziario, negativo anche a livello globale. A livello settoriale, infatti, meglio i Tech/Growth con i soli Consumi di Base a tener testa. I difensivi puri riescono al momento a interpretare meglio il momento anche se le tendenze settoriali sono state piuttosto volatili e ondeggianti in questi primi mesi del 2023.

MERCATO OBBLIGAZIONARIO

In tema di obbligazionario, ci si avvicina ormai sempre più alle riunioni di inizio maggio per le principali banche centrali mondiali: la Fed si riunisce il 3 maggio mentre il giorno dopo toccherà alla BCE. Per l’istituto guidato da Powell il consensus si mantiene piuttosto stabile nel vedere un ultimo rialzo da 0,25% per poi mantenersi in pausa per almeno 4/5 mesi: i tagli arriverebbero verso la parte finale dell’anno (un paio grossomodo, secondo il mercato almeno). Più corposo il lavoro che attende Lagarde, intenzionata a mettere mano ai rialzi circa 3 volte (da 0,25% ciascuna) in modo da arrivare in area 4%-4,25% (tasso di sconto). Sarà interessante vedere per la banca centrale americana quale sarà il posizionamento dei governatori per i prossimi mesi, dove le attese di mercato divergono molto rispetto a quelle che sono/erano quelle della FED a marzo. I dati macro sono cambiati un po’ ma a tinte alterne mentre sul fronte bancario l’emorragia dalle piccole banche continua e l’elemento continua ad essere monitorato con attenzione (pur avendo messo l’importante toppa delle garanzie sui depositi). Più forte la retorica del board BCE, dove pesano i desideri tedeschi di bloccare le tensioni sui prezzi con vigore, visto che rimangono ancora vive.

A livello tassi, l’andamento è stato calante, con riduzioni marginali su tutti i tratti della curva, riflettendo una maggiore convinzione verso un calo economico moderato. Il decennale americano si è attestato in chiusura al 3,43%, sulla fascia bassa del range di variazione degli ultimi mesi: manca la rottura al ribasso ma i tentativi di risalire la china sono tutti stati stoppati per il momento. BTP e Bund, stessa scadenza vedono anch’essi rendimenti in calo (2,31% e 4,18%) ma anche qui il mercato pare intenzionato a sentire Lagarde prima di qualche movimento più direzionale. Anche sul breve c’è qualche smussamento al ribasso: i dati di inflazione che permettono un momentaneo rilassamento: lo stesso PCE USA uscito venerdì ha centrato le attese (+0,3% mensile, +4,6% annuo). Effetti sulle asset class: obbligazionario corporate in ripresa vista la riduzione dei tassi e positivo anche l’High Yield, che sale sulla scia di un discreto risk-appetite.

MATERIE PRIME

In ambito materie prime, paniere ancora in sofferenza e che dilapida sostanzialmente quando guadagnato nell’ultimo mese mese. Colpa della debolezza di molti sotto panieri: dagli industriali agli agricoli fino a quelli legati all’energy. Petrolio in calo (-1,4%, a 77$) mentre l’oro mantiene le posizioni appena sotto area 2.000.

MERCATO DELLE VALUTE E CRYPTOS

Il cambio Euro Dollaro oltrepassa area 1,10 e mantiene una moderata tendenza rialzista, trend condiviso anche per altri cross come EUR-JPY (il Giappone non cambia la propria politica monetaria) e EUR-AUD/EUR-

NOK. Positive le cripto con Bitcoin che dopo lo storno di breve torna a salire nuovamente, segnando un +7,6% in settimana.

Dott. Alessandro Pazzaglia, consulente finanziario indipendente, www.pazzagliapartners.it




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