Lo storno continua; Powell determinato sui tassi, in calo bond e borse.

MERCATO AZIONARIO

La seconda delle due settimane settembrine di ‘test’ per i mercati non è stata benevola come la prima, dove inflazione USA e decisione della BCE rappresentavano una sorta di antipasto per la tenuta dei listini. Negativa, infatti, La settimana appena conclusa, con un declino dell’indice azionario globale MSCI World nell’ordine del 2,7%, che porta il saldo di questo settembre ad un risultato ora più pesante (-3,5%). Se prendiamo a riferimento i massimi di fine luglio, ora la fase correttiva complessiva (anche agosto si era chiuso infatti col segno meno) assomma a poco più di 6 punti percentuali, con le quotazioni praticamente tornate ai minimi di metà agosto. È la stessa dinamica che sta guidando anche ora il mercato, con l’impennata dei rendimenti dopo la riunione della Federal Reserve, riunita in settimana e che non ha portato novità sui tassi a breve (lasciati fermi nel range 5,25%-5,50%) ma comunicazioni amarognole per i prossimi mesi. L’aggiornamento al rialzo delle stime di crescita e i timori di una inflazione di ritorno, hanno infatti portato la Fed a posizionarsi ancora di più verso un atteggiamento intransigente in tema di politica monetaria, allontanando le prospettive di un allentamento che fosse visibile ad occhio nudo. Questo impone un repricing sulle quotazioni azionarie (che hanno trovato l’innesco per stornare), disturbate anche da altri fattori non graditi, come il rialzo del prezzo del petrolio (che porta potenziali incrementi inflattivi) e le problematiche sul rifinanziamento dei debiti governativi in scadenza e sui deficit degli stati. In più, i buoni dati macroeconomici (ex. sul mercato del lavoro) vengono letti al contrario (good news is bad news): settembre non sta tradendo le attese e si è conferma mese difficile.

Per la terza settimana di fila, Wall Street guida i ribassi delle borse internazionali (S&P -2,9%, Nasdaq 100 -3,3%): la sottoperformance avviene in una fase di storno per tutti i listini azionari, con nessuna eccezione. Questo ha riportato S&P 500 ed Eurostoxx 50 ad una similare performance da inizio dell’anno e l’indice americano ha di fatto quasi dilapidato l’extra guadagnato soprattutto da marzo in poi con il rally dei tech. La correzione non è però inattesa, anche se si volesse parlare di mera interpretazione tecnica. A quota 4.600 di S&P e 16.000 di Nasdaq si erano creati ipercomprati da monitorare e che ora, dopo un agosto ballerino, trovano sfogo con la concomitanza di notizie negative. I dati macro della settimana hanno visto una nuova conferma del soddisfacente momentum del mercato del lavoro che, sebbene qualche tentennamento ogni tanto, resta comunque in buona salute. I sussidi di disoccupazione, infatti, sono usciti al di sotto delle attese e del dato precedente, dando sostegno alle motivazioni della Fed di restare guardinga su tassi e inflazione. In Europa i PMI sono usciti misti: male in Francia, in rimbalzo quelle della Germania.

MERCATO OBBLIGAZIONARIO

La riunione della FED, come quella della BCE, ha portato volatilità sui tassi ma a differenza della scorsa settimana, il riassorbimento è stato molto più difficoltoso. Eppure, Francoforte ha scelto la via del rialzo del costo del denaro mentre Powell ha preferito mantenersi in attesa di sviluppi sul piano macroeconomico. Differente, però, il tono di accompagnamento che è arrivato dai due principali istituti di politica monetaria: mentre Lagarde ha, volutamente o meno, fatto capire che il ritocco all’insù poteva essere l’ultimo (forse anche per non sovraccaricare l’impatto della decisione), la FED ha utilizzato toni particolarmente ostici e non prezzati dai mercati, che, infatti, si sono ritrovati spiazzati dal nuovo posizionamento. Si, perché per il 2024, Powell ha indicato una strada fatta di attenzione e monitoraggio senza però dare garanzia alcuna di rientro dai livelli di costo del denaro raggiunti, anzi. Il focus è stato incentrato su una revisione delle stime di crescita per 2023 e 2024, con un PIL in crescita rispettivamente del 2,3% e 1,5% (vs +1% e +1,1% precedenti). Un costrutto che è accompagnato anche da una revisione al rialzo dell’inflazione (che ‘balla’ tra il 2,5% e 3,3%) e del livello di disoccupazione (appena il 4,1%). Sebbene Powell non abbia definito il ‘soft landing’ come scenario di base, la view economica della Fed ci assomiglia molto/moltissimo, visto che ritiene possibile riportare l’inflazione più vicina al 2% senza un calo significativo dell’attività economica o dei posti di lavoro.

A dare fastidio però ai mercati in questo contesto che non parrebbe così fosco, sono i timori successivi che il quadro sopra descritto comporta. Tassi più alti più a lungo è uno scenario che evoca passate esperienze poco felici dopo i policy error delle banche centrali avevano poi portato alla rottura di un ‘ingranaggio’ nel sistema economico (bancario in primis) e debolezza economica accentuata. La decisione di Powell va anche letta come strategica: mantenendo una impostazione restrittiva può riuscire a guidare il mercato, magari senza toccare più i tassi di interesse. Le attese ora vedono un altro possibile ritocco del denaro a dicembre o gennaio 2024: un bel 50% di probabilità che era probabilmente quello che Powell voleva, togliendo quindi ancora immotivate speranze per gli investitori. La Fed si attende tassi al 5,1% a fine 2024, i mercati attorno al 4,7%: la differenza si è dolorosamente assottigliata. BCE invece viene vista molto vicina allo stop, con poche possibilità di ulteriori ritocchi ulteriori (23%).

Il movimento verso l’alto dei tassi USA ha trascinato anche quelli della zona Euro, sebbene con meno enfasi.  In seno alla BCE si nota una certa confusione, visto che diversi esponenti propongono ricette ben diverse per il futuro, Christine Lagarde avrà il suo bel da fare per trovare una sintesi. Il movimento al rialzo dei tassi pesa sui governativi che scendono in maniera uniforme e mostrando ormai un saldo negativo o piatto nel 2023 (salvo poche eccezioni). Debole anche il corporate, sia investment grade che high yield: la settimana ha portato ad aumenti negli spread di credito, sia per gli emittenti societari che per quelli governativi periferici.

MERCATO DELLE MATERIE PRIME

Contrastato il paniere delle materie prime: petrolio stabile sopra i 90$, male le agricole e soft, deboli rame e nickel. L’oro, nonostante, il rialzo dei tassi reali ha tenuto nelle quotazioni (1.925 $). I rialzi dell’energia di fatto hanno contribuito a creare la tensione presente in questo mese di settembre.

MERCATO DELLE VALUTE

Nonostante lo sconquasso di notizie di politica monetaria, il cross Euro Dollaro ha tenuto le posizioni, bilanciando le decisioni della Fed con i report PMI europei non tragici come ci si attendeva. Il cambio resta in area 1,065, restando in una zona di maggiore equilibrio e in attesa di vedere come piegheranno i dati economici dei prossimi mesi.

Dott. Alessandro Pazzaglia, consulente finanziario indipendente, www.pazzagliapartners.it




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