Ricordare Arturo Zambon a un secolo dalla sua nascita

PORDENONE – Venerdì 12 agosto ricorrerà il 100° anniversario della nascita di Arturo Zambon, uno dei massimi esponenti della Resistenza antifascista in Friuli e protagonista della vita civile del dopoguerra fino al primo decennio del terzo millennio.

Ricordarlo oggi, a distanza di 10 anni della sua morte (4 novembre 2012), significa riproporre i valori di un periodo che è segnato come il riscatto dell’Italia dal totalitarismo, dalla cultura della guerra, dalle divisioni di parte, grazie alla conquista della libertà e della democrazia, due beni preziosi da difendere giorno per giorno con la consapevolezza che sono diritti inalienabili.

Dopo l’8 settembre 1943, Arturo Zambon, ufficiale di complemento degli Alpini,evase dalla prigionia nazifascista. Successivamente aderì, con il nome di battaglia “Comici”, alla Lotta di liberazione dal nazismo e dal fascismo, dapprima nella 5a Brigata Osoppo, dove fu capo di stato maggiore, e successivamente nella Brigata unificata Ippolito Nievo A, composta da formazioni della Osoppo e della Garibaldi, come vicecapo di stato maggiore, un ruolo operativo sul terreno e di raccordo tra il comandante di quella unità operativa, il garibaldino Mario Modotti “Tribuno”, e il capo di stato maggiore, l’osovano Pietro Maset “Maso”.

Quell’unità operativa, in azione tra la Valcellina, la Val Colvera e il monte Cavallo, è oggi ricordata dal monumento di Piancavallo, inaugurato nel 1983 dal presidente della Repubblica Sandro Pertini.

Nell’inverno 1944-1945 la “Ippolito Nievo A” subì i colpi della controffensiva nazifascista con la perdita di una parte del suo vertice: arrestato e fucilato “Tribuno”, ucciso in combattimento “Maso”, ferito mortalmente in un agguato il commissario politico, Giulio Contin “Riccardo”. A sua volta, Arturo Zambon fu catturato, su delazione, dalla Decima Mas, poi tenuto prigioniero in varie località del Veneto. Riuscì a fuggire assieme a Cino Boccazzi “Piave” e partecipò attivamente alla liberazione di Maniago, la sua città dove, all’indomani della seconda guerra mondiale, fu comandante della zona militare e operò assieme al governatore britannico Pinny per la rinascita economica e politica.

Fu molto attivo anche come cofondatore e socio delle associazioni che coltivano e diffondono la memoria della Resistenza: Anpi, Apo, Avl, Istituti di storia (per 10 anni consecutivi fu anche presidente dell’Istituto pordenonese). Le sue memorie di combattente per la libertà sono affidate a un libro autobiografico, “Valcellina e Valcolvera: 1943-1945”, e ai volumi di Pietro Angelillo e Sigfrido Cescut “I luoghi delle pietre e della memoria”, “Luoghi della memoria: ricordare per vivere”, “Quaderni di storia”.

Si distinse nella vita professionale, come geometra libero professionista e consulente di Preture, Tribunali, amministrazioni comunali. Tra i tanti interventi, quello di autore tecnico del tracciato per il nuovo Comune di Vajont, tra Montereale e Maniago.
Praticò numerosi sport, compresi l’alpinismo e lo sci. Fu documentarista e fotografo. A Maniago fu anche cofondatore della sezione Cai e autore del progetto per il rifugio alpino. Scelse il nome di battaglia “Comici” in ricordo del pioniere dell’alpinismo, Emilio Comici.

Il suo impegno civile si estese anche all’informazione: considerò sempre l’importanza dei media come espressione democratica sancita dalla Costituzione. Per questo motivo fu nominato socio onorario del Circolo della stampa di Pordenone.

Indubbiamente una vita intensa e avventurosa, quella di Arturo Zambon che si spese fino all’ultimo per gli ideali di democrazia, libertà, giustizia, senza trascurare i doveri verso la sua numerosa famiglia.

Poco prima della sua morte si schierò dalla parte di coloro che si opponevano all’abolizione delle province nel Friuli Venezia Giulia, perché le considerava espressione delle autonomie, della storia e dell’identità delle popolazioni locali.

Meriterebbe un doveroso riconoscimento storico: come combattente per la libertà, la demcrazia e la giustizia; come componente attivo della società civile della sua terra; come cittadino capace di dedicare la sua vita al bene comune, rifiutando vantaggi e onori personali.

I posteri capiranno soltanto se manterranno la consapevolezza di quei valori che stiamo rischiando di perdere a causa di egoismi e qualunquismi.




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