L’affaire Venchiaredo-Ramuscello: parla Bianchini
RAMUSCELLO – “L’operazione che ha dato a Granarolo Spa il 57,47% della proprietà della cooperativa Venchiaredo di Ramuscello costituisce una sconfitta per l’azienda del Sanvitese e per l’economia del Friuli Venezia Giulia, in quanto pone le premesse per l’azienda friulana a semplice produttrice di latte, alla mercè di un grande gruppo industriale”.
E’ il parere di Rino Bianchini, ideatore, cofondatore e primo presidente della cooperativa dei produttori di latte
e del Caseificio Venchiaredo di Ramuscello.
“Non era certamente la subalternità che ci eravamo proposti – sottolinea Bianchini – quando, nel 1968, fondammo il “Caseificio sociale cooperativo del Tagliamento”, poi denominato Venchiaredo in omaggio alla mitica suggestiva sorgente descritta da Ippolito Nievo.
Nella seconda metà degli anni Sessanta avevamo individuato nella produzione casearia uno dei motivi di maggiore reddito per l’agricoltura locale che era ancora gravata dall’arretratezza e dalla scarsa redditività, conseguenze del latifondismo, della mezzadria e delle piccole e micro imprese contadine del Sanvitese. Volevamo far uscire gli allevatori e i produttori di latte dal ristretto orizzonte dell’agricoltura tradizionale e dallo schiacciamento della concorrenza europea nel momento in cui venivano tolti i dazi protettivi e si liberalizzava il Mercato europeo”.
“Con l’aiuto dello Stato e della Regione – argomenta Bianchini – scegliemmo i mezzi per garantire un futuro alle famiglie contadine. Mi riferisco alla cooperazione, alla meccanizzazione, alla concentrazione della lavorazione, della trasformazione e della commercializzazione dei prodotti agricoli. Nulla fu imposto o lasciato al caso. Prendemmo a modello l’esperienza analoga nei Paesi all’avanguardia dell’economia agricola in Europa e in due regioni italiane di vertice, la Lombardia e il Trentino”.
“Il nostro progetto risultò subito credibile e innovativo non solo per i soci, ma per tutti i produttori di latte del Sanvitese e dei Comuni limitrofi del Veneto Orientale, con ricadute importanti per l’economia in generale. I soci fondatori erano 50. Quando lasciai la presidenza, nel maggio del 1975, il loro numero era salito a 530. Dai circa 50 quintali di latte trasformati ogni giorno, eravamo arrivati a 200 giornalieri, con vantaggi ben oltre le più ottimistiche previsioni, sia societari (patrimonio consolidato al massimo e una brillante situazione economico-finanziaria) sia per i singoli aderenti.
Avevamo dato vita a un ciclo produttivo completo che ci consentiva di utilizzare il latte dei nostri conferenti dalla produzione alla commercializzazione, fino ad arrivare all’utilizzo dei residui di lavorazione per un progetto ormai prossimo alla realizzazione, l’impianto di allevamento per 6.000 suini”.
“Per la prima – rileva Bianchini – volta la gente dei campi diventava protagonista. Puntammo subito sui prodotti più richiesti dai mercati regionale ed extraregionale, a partire dalle mozzarelle, dallo stracchino, dal burro e dal tradizionale Montasio. I risultati furono eclatanti fin dall’inizio. Basti pensare che già al secondo anno di attività, nel 1972, chiudevamo il bilancio con un pareggio di 425 milioni di lire e un attivo di 27 milioni, dei quali 15 a vantaggio dei soci e il resto in accantonamento. Il successo della nostra formula si era tradotto in una maggiore remunerazione per i produttori, grazie all’aumento del prezzo del latte, rispetto ai dati di mercato correnti, e in una commercializzazione senza intermediari. Ci confrontavamo con il mercato e riuscivamo a imporre i nostri prodotti di alta qualità e il loro prezzo al consumatore”.
“Il salto di qualità era il passaggio dalle latterie sociali, che obbligavano i produttori a prestare il loro lavoro gratuito a turno nei caseifici I nostri soci, da operai e con scarsi proventi, divennero imprenditori. Per la prima volta il settore lattiero-caseario friulano assumeva un ruolo competitivo su scala europea e garantiva un reddito mai visto prima”.
Il sistema cooperativo costituiva la forza propulsiva che più cresceva e più dava risultati positivi a livello di costi di produzione e di prezzi di vendita. I fatti sono sotto gli occhi di tutti: l’agricoltura italiana, grazie alla cooperazione, ha potuto raggiungere vette insperate, ma potrebbe evolversi ancora di più se lo spirito cooperativo fosse applicato alla lettera.
“Quando la cooperazione perde la sua funzione di protagonista – è il parere di Bianchini – perde il primato e succede quanto stiamo vedendo con il sopravvento dei grandi gruppi italiani e soprattutto europei di produzione e di commercializzazione dei prodotti alimentari in genere e lattiero-caseari in particolare. Ecco perché i marchi storici friulani cambiano proprietà. In sostanza ritengo sia in atto una resa incondizionata. Invece di rinforzare le nostre aziende produttrici, si pensa a una rendita di posizione. Nel caso specifico, i nostri allevatori manterranno semplicemente la loro funzione di produttori di latte, ma non saranno loro a imporre un prezzo valorizzato dalla produzione dei derivati e dalla distribuzione.
I prezzi sono ormai imposti dai grandi gruppi, cooperativi e non. Quando i nostri produttori si accorgeranno dell’errore? Quando il prezzo del latte non sarà più remunerativo. Le recenti dolorose proteste dei produttori di latte della Sardegna e della Sicilia lo dimostrano”.
“Per evitare questi scenari – chiude Bianchini – che rendono la nostra agricoltura subalterna bisogna saper pensare in grande. Ha ragione Dario Ermacora, presidente del Consorzio agrario, quando sostiene che la vendita dei nostri marchi conferma la fine progressiva dell’azionariato popolare e comporta la perdita di valore aggiunto che rimane nelle casse dell’industria. La cooperativa Venchiaredo aveva tutti i mezzi per operare in grande, mantenendo il suo ruolo di protagonista e costituendo la forza di un’economia regionale in espansione. Non consola il fatto che prima avevamo vissuto altri episodi analoghi (Latterie Friulane, un esempio eclatante). Perché questo scadimento continua? È il caso di chiederselo con un’analisi approfondita, sul piano tecnico, su quello economico e su quello politico”.