Mercato azionario: Wall Street, borse e settori
- Continua il buonumore complessivo dei mercati azionari che anche in questa settimana riescono a chiudere con il segno positivo e a consolidare un mese di novembre finora da incorniciare. Una sorta di anticipazione (completa ormai?) di quello che è storicamente il periodo più favorevole per le borse e che è riuscito a controbilanciare i tre mesi precedenti di segno opposto. La settimana è trascorsa in modo abbastanza tranquillo, anche per la chiusura di giovedì per il Ringraziamento negli Stati Uniti, ricorrenza che ha limitato i controvalori scambiati. Questo, però, non ha impedito non solo di confermare ma anche di aggiornare i livelli di prezzo raggiunti. Il tutto in un contesto di volatilità contenuta, in attesa forse di qualche elemento nuovo per gli investitori. L’uscita dei verbali dell’ultimo meeting Fed, infatti, non ha smosso particolarmente i mercati, avendo già scontato nelle scorse settimane qual è il posizionamento delle banche centrali per il presente e l’immediato futuro. È come se, per il momento, tutte le tematiche sorte ad ottobre fossero state messe in naftalina e che si stia ripristinando una visione meno ansiosa e più razionale di quelli che sono i fondamentali economici micro e macro. L’amplificazione dei movimenti, come si sa ormai, è figlio sicuramente del sentiment ma ora su scala molto più automatizzata e rapida negli sviluppi. Lo stesso movimento a novembre lo abbiamo visto anche sull’obbligazionario, anche se vi è stato un piccolo ritocco all’insù dei rendimenti generali.
- L’S&P 500, +1% nella settimana, si sta via via inerpicando quasi in verticale con l’obiettivo ormai prossimo di tornare sui livelli dello scorso luglio, in area 4.600 punti. Quasi un +11% di rimbalzo dai minimi di fine ottobre che lascia piuttosto sorpresi, per ampiezza e rapidità nel movimento. Se applichiamo questo ragionamento, è probabile/possibile che una volta toccati i livelli dove l’ossigeno scarseggerà, si assisterà ad un pull back (quindi un movimento di segno opposto) che testerà magari qualche livello di breve. Quello graficamente più invitante appare area 4.400 circa, attrezzata per confermare la validità del recupero. Il Nasdaq 100 (+0,9%) in realtà è pure più su: superati i massimi a 16.000 (se pur di poco), l’indice ha confermato la propria ottima forza relativa, con alcune grandi tech che hanno già fatto segnare un aggiornamento del top annuale (come Microsoft).
- L’Europa va al traino di Wall Street e porta a casa in settimana un +1%, con performance variabili a seconda dei vari mercati nazionale, tra i quali primeggiano stavolta nordici e Ibex. Gli investitori hanno sfruttato la settimana per comprare magari qualche mercato lasciato indietro nel 2023, come i paesi emergenti (+1,3%). A livello di settori, sempre ben intonata la tecnologia, nelle sue diverse forme di segmento di mercato, assieme ai difensivi (Staples, Health Care), indietro nelle performance annuali. Al palo ancora l’energy, viste le incertezze sui tagli della produzione da parte dei paesi dell’Opec.
- La stagione delle trimestrali ha trovato la sua sostanziale conclusione con la trimestrale di Nvidia, tradizionalmente spostata più in là nel tempo rispetto alle altre. Interessante la dinamica del prezzo, insensibile al fatto di aver battuto alla grande le stime attese su utili e ricavi. Evidentemente il mercato aveva già incorporato tutte quelle che erano i livelli di miglioramento dei fondamentali. A livello macro, settimana in cui i dati usciti hanno mosso poco il mercato, sebbene abbiano prevalso visioni ancora discrete sullo stato dell’economia americana (meglio il mercato dei mutui, meno bene gli ordini di beni durevoli).
Obbligazionario: banche centrali e tassi
- Il principali driver settimanale è arrivato dall’uscita dei verbali dell’ultimo meeting della Fed, peraltro già anticipato da diverse dichiarazioni non solo dal Presidente Powell ma anche da altri membri del FOMC. Per cui le reazioni di mercato sono state complessivamente limitate. Il comitato che decide la politica monetaria americana ha confermato la propria posizione di attesa dei dati macroeconomici per decidere, di volta in volta, le misure da adottare per far tornare l’inflazione al target desiderato. La Fed, inoltre, è conscia che le misure prese negli ultimi 18 mesi sono già riuscite a creare un certo stress, non solo ai mercati finanziari (e gli investitori lo sanno bene) ma anche, se pur in misura minore, anche allo stesso quadro macroeconomico di base. Il mercato del lavoro, infatti, ha intrapreso un moderato sentiero di raffreddamento che dovrebbe continuare anche nel prossimo periodo, andando poi a riverbero su consumi e, quindi, inflazione. Sono sempre due le modalità di intervento della Fed: il fatto di mantenere i tassi alti e la decisione di aumentarli ancora (range attuale 5,25%-5,50%). Risulta evidente come ormai si discuta soprattutto della prima ipotesi ed è su questo punto, infatti, che si è nuovamente aperto un gap tra mercati e banca centrale americana, in attesa che quest’ultima, vada ad aggiornare il proprio posizionamento.
- I mercati infatti scontano in maniera aggressiva lo sviluppo per i tassi ufficiali nel 2024: 3/4 tagli entro dicembre 2024/gennaio 2025, con il passaggio quindi al 4,25%-4,50%, mentre ufficiosamente la Fed resta dell’idea che l’attuale livello (o poco più sotto) sia ancora un livello prospetticamente adeguato. La risposta alla domanda “chi si adeguerà?” è la stessa che ci si è fatti più volte negli ultimi mesi e finora è sempre stato il mercato a doversi piegare alla risolutezza delle banche centrali. Certo, è avvenuto perché i dati macroeconomici lo hanno consentito ed è quindi allo stesso modo che il nodo verrà sciolto nei prossimi trimestri. Venendo alla dinamica dei rendimenti, il decennale americano ha visitato area 4,35%-4,50% (per poi rimbalzare di misura), un’area sensibile e coincidente con il top provvisorio fatto registrare ad ottobre 2022 e poi sorpassato al rialzo nel corso di quest’anno. È presumibile che i valori cercheranno ora dei livelli di consolidamento prima di decidere il da farsi, tra l’ipotesi di riprendere il cammino verso l’alto oppure di confermare effettivamente il top del 5% fatto nello scorso mese di ottobre.
- Nel Vecchio Continente, le tendenze sono state le stesse, con il Bund ed il BTP decennale assestarsi rispettivamente in area 2,60% e 4,30% e abbozzando un possibile minimo provvisorio. BCE, nel suo Stability Report, fa notare come le condizioni generali rendano vulnerabili i mercati, visto che l’effetto del rialzo dei tassi devono ancora dispiegarsi completamente sull’economia reale (consumatori e aziende) e che occorra riprendere in mano le tematiche delle regole fiscali dell’intera Eurozona.
Materie prime
- Andamento piatto per il paniere generale di commodities, dove si nota certamente l’oro (+1%) che fa nuovamente capolino sopra quota 2.000 e sostenuto da un trend favorevole. Stabile il petrolio a quota 75$ e metalli industriali ancora deboli. Si attende il meeting dell’OPEC di fine mese per capire le decisioni dei paesi produttori in merito alla possibile conferma ed estensione dei tagli alla produzione per sostenere il prezzo.
Mercato dei cambi e Cryptos
- Consolida il cambio Euro Dollaro dopo il movimento rialzista della scorsa settimana, con un close a quota 1,095. Riprende quota il Bitcoin (+4% a 37.800) nonostante le notizie relative all’exchange Binance.
Dott. Alessandro Pazzaglia, consulente finanziario indipendente, www.pazzagliapartners.it