PORDENONE – Agane, presenze sovrannaturali, spiriti della Natura che vivono nelle selve, in prossimità dei fiumi e delle sorgenti. Legate al culto delle acque, del femminino e della fertilità. Un mito trasversale, che si ritrova a tutte le latitudini, dall’America precolombiana, alla Mesopotamia, alla Siberia, e che in Friuli è presente in differenti declinazioni, dalle valli occidentali, alla Carnia, alle Valli del Natisone.
Di solito nella tradizione orale e nella letteratura più recente sono rappresentate come donne bellissime, visioni che appaiono furtive tra le acque più limpide, tra il muschio e le felci delle sponde, all’ombra di alberi secolari. A volte gentili, a volte dispettose nei loro furtivi rapporti con gli umani.
In altre parti dell’arco alpino vengono chiamate anguane, con tutta probabilità dal latino anguis, serpente. E’ l’importante indizio di un legame con un culto ancestrale, quello della donna serpente del neolitico. Il rettile, che periodicamente cambia pelle, è il simbolo della vita che si rinnova, della rinascita eterna, dell’immortalità. Il suo veleno uccide, ma può anche guarire. Una ambiguità che unisce la vita e la morte e completa il ciclo vitale. La donna serpente è una figura sciamanica, la depositaria dei segreti, appunto, della nascita e della morte.
Nei culti animisti di origine celtica in ogni fiume, torrente o rivolo d’acqua c’è un genius loci, che è sempre una presenza femminile. Perché l’acqua è elemento che appartiene al femminino, fonte di vita che richiama il liquido amniotico in cui è immerso il feto fino alla nascita.
Una mostra sul tema, promossa dall’Associazione Culturale Lucescrittura con il sostegno del Comune di Pordenone e in collaborazione con Graphistudio aprirá i battenti sabato 23 novembre alle ore 11 nel chiostro della Biblioteca Civica di Pordenone in piazza XX Settembre e sará visitabile fino a domenica 8 dicembre.
L’esposizione vuole esplorare l’iconografia che la tradizione orale ha tramandato sul tema delle agane e vuole altresí crearne una nuova affidata alla creativitá dei fotografi, chiamati a rappresentare delle presenze immateriali, indefinite, oniriche, che si confondono con il paesaggio circostante, dominato da una Natura animista, totalitaria, che esala energie e vibrazioni, che é una cosa sola con tutte le sue creature e che rappresenta il concetto primitivo di Madre creatrice. Visioni che appaiono tra le brume mattutine dei boschi, riflessi nelle acque piú limpide, ombre furtive tra rocce coperte di muschio e alberi secolari nel profondo della foresta. Spiriti che appartengono ad un’altra dimensione, nella quale il visitatore della mostra, come un viaggiatore che si avventura nella selva, si imbatte o crede di essersi imbattuto.
Alla collettiva partecipano con le loro opere i fotografi Paolo Ciot (che ne é anche il curatore), Ermes Buttolo, Matteo Fabro, Stefano Ret, Elido Turco.