Ospitiamo una argomentata riflessione dello psicologo e psicoterapeuta Antonio Loperfido, riferita, in particolare, al lockdown che ci ha visti “chiusi in casa” per un lungo periodo. Nonostante ora il lockdown sia finito, questa testimonianza propone aspetti quantomai attuali.
“State a casa. Una frase ripetuta in continuazione con ogni mezzo, con ogni media, da chiunque e da qualunque parte del mondo. Come se ripetutamente ci dicessero:” Se non vi volete infettare, se volete vivere, state a casa”.
Ma il Problema non è stare a casa ma come frenare i vari bisogni che sono connaturati all’uomo, come il bisogno di movimento, di toccarsi, di cooperare, di partecipare, di sentirsi produttivo e utile, il bisogno di crescere e di auto realizzarsi, il bisogno di cambiare, di evolversi, di essere sorpresi, e di sorprendere, il bisogno di sentirsi unici e speciali.
Lo psicologo umanista Abraham Maslow e il saggista statunitense Anthony Robbins, per esempio, hanno cercato di classificare i vari bisogni, considerandoli fondamentali per la vita di ogni individuo perché motivano e governano i nostri comportamenti.
Inizialmente, stare a casa, non è stata una scelta decisa da ogni singola persona ma una decisione imposta dalle autorità politiche e sanitarie per tutelare la salute di tutti.
Col passare dei giorni e con l’aggravarsi della situazione, stare a casa è diventata, per i più, una scelta intrinseca, una scelta motivata dal bisogno di ogni individuo di rimanere in salute, di vivere, di recuperare una condizione di benessere fisico e psicologico.
Il Covid-19 genera nella popolazione insicurezza e angoscia perché si conosce poco, è ancora un virus misterioso e, per questa ragione, imprevedibile, enigmatico, oscuro.
Inoltre, attacca i polmoni e, quindi, la capacità dell’uomo di respirare, toglie l’aria, l’invisibile che respiriamo, che ci dà energia, che si colloca tra il cielo e la terra.
Assistiamo allo scontro, alla lotta tra due simboli invisibili, da una parte il Covid-19 dall’altra l’aria, da una parte la distruzione dall’altra la purificazione, il principio della composizione e della fruttificazione, da una parte la decomposizione e dall’altra il respiro della vita, tutto ciò che avvolge, permea e mette in comunicazione. Mentre il Covid-19 ci obbliga a vivere nel chiuso di un’abitazione, l’aria ci invoglia ad uscire, a socializzare, ad espanderci, a cambiare, a scherzare; l’aria ci fa sentire uomini liberi. E’ questa libertà che ora ci sta venendo a mancare.
Se i malati di Covid-19 temono di morire soffocati chi rimane chiuso in casa teme di vedere morire i propri sogni, le proprie aspirazioni, i propri progetti, la propria creatività. Il rischio che si può correre è quello di farsi prendere dallo sconforto, dalla rassegnazione, dalla sfiducia.
In questi giorni, l’essere chiusi in casa mi ha fatto pensare ad una persona che considero eccezionale, il neurologo e psichiatra austriaco Viktor Frank sopravvissuto ai campi di concentramento di Auschwitz, Dachau e in altri campi di concentramento durante la Seconda Guerra Mondiale. Questa esperienza, unita alla sua formazione, gli permise di fare una grande riflessione a proposito del senso della vita, cosa che, nel tempo che stiamo vivendo, potremmo fare anche noi.
Tra sue le varie riflessioni trovo di estrema attualità la seguente;” Non abbiamo bisogno di vivere senza difficoltà, bensì di essere consapevoli che esse esistono, che fanno parte della vita e che dobbiamo lottare per qualcosa per cui ne valga la pena, che dia un senso a ciò che facciamo Se una persona non riesce a dare un senso alla sua sofferenza, si dispererà. Se l’individuo, invece, è in grado di dare un senso alle avversità, può trasformare le sue tragedie in una vittoria.
Tutti abbiamo qualcosa o qualcuno per cui vivere, un motivo che ci permette di andare avanti giorno per giorno, che ci motivi e che dia senso ad ogni secondo della nostra esistenza, ad ogni nostro passo e ad ogni azione”. Anche Friedrich Nietzsche diceva: “Chi ha una ragione per vivere è in grado di sopportare qualsiasi cosa”.