PORDENONE – “Occorre ripensare tutta la filiera logistica in chiave sistemica e anche in risposta alla pandemia attuale. Siamo molto fragili e basta che si interrompa la corrente e subito emergono i disastri, le criticità, i fallimenti. Bisogna essere chiari. La ripartenza non sarà indolore. Occorre pensare a una ristrutturazione e Interporto Pordenone ha pensato a questo da tempo e oggi più che mai tale disegno torna a essere utile e puntuale”.
E’ la riflessione di Giuseppe Bortolussi, amministratore delegato di Interporto Centro Ingrosso Pordenone spa, espressa questa mattina, 12 maggio, nel corso di una conferenza stampa convocata all’Interporto sul tema delle nuove sfide della logistica, sempre più centrale per l’economia del territorio, in tempi di Covid 19. E la nuova sfida si chiama “Progetto polmone”, le cui linee guida sono già state presentate in Regione Fvg.
“Gli operatori della logisticica – spiega Bortolussi – dopo la pandemia Covid 19, stanno pensando che non si può accentrare tutto in un solo polo, ma bisogna creare un polo nordest, un polo nordovest, bilanciato con il centro. E’ questo il magazzino polmone che intendiamo realizzare a Pordenone e in Fvg. Bilanciamento, crisi creata dalla pandemia, analisi dei traffici con l’Est Europa ci fanno dire noi siamo in una posizione strategica per realizzarlo in tutta l’area del Friuli, non solo all’Interporto Pordenone.
Tutta una filiera va messa insieme, deve scommettere in questa sfida andando oltre l’industria 4.0: verrà coinvolto il consumatore, il produttore, il fornitore. Occorre sostituire i mezzi che dall’Est arrivano a rifornire le nostre linee di produzione con un intervento che semplificherebbe tutta la filiera e realizzare un magazzino importante a ridosso delle aree industriali, in modo che giornalmente da lì partano i carichi in modo più ordinato. Si tratta di un nuovo magazzino o un’area dove ci siano questi magazzini, in interporto e fuori interporto.
Noi dobbiamo pescare da un bacino un po’ più ampio: in questo progetto Interporto Pordenone può ospitare una piccola parte, il resto va realizzato attirando altri investimenti sul nostro territorio. Oggi il ritorno delle merci che arrivano dall’Est Europa è al massimo al 30%: stiamo lavorando per intercettare dei carichi di trasferimento verso la Serbia e verso la Romania. Dovremmo aumentare questa quota dal 30 al 50% e con la Regione stiamo ragionando per capire se c’è qualche provvedimento capace di aiutare questo meccanismo”.
“Oggi a Pordenone sta nascendo qualcosa che non è residuale o secondario, ma è in linea sia con la produzione, sia con il commercio, perché oggi la logistica è la vera trasmissione con i mercati dei nostri prodotti e dei prodotti altrui, perché solo con uno scambio si valorizza la moneta, si valorizzano i prodotti e si dà continuità a uno stato moderno”.
“Ricordiamoci – aggiunge l’ad di Interporto Pordenone – che ci troviamo in una zona di grande presenza manifatturiera: questa zona, storicamente, sia sul piano fornitori che su quello dei clienti, aveva una logistica che veniva servita sempre da altri, in particolare dai tedeschi.
Inserirsi su questo fronte è stato inserirsi in una grande competizione, con un gap di differenza con i tedeschi o gli spagnoli, molto alto. Interporto Pordenone oggi ha preso coscienza di questo e sta studiando i meccanismi con tutti gli operatori, in primis Hupac, Codognotto, Cesped, Fornaro, Sistema spedizioni e le dogane, che sono stati chiamati a un rapporto diverso con la nostra industria. Oggi, posizionare un prodotto significa avere il gradimento del mercato. E per creare questo rapporto virtuoso la logistica deve intervenire non solo come un mezzo passivo, ma attivo, raccogliendo, così, tutte le aspettative del mercato”.
“Le aziende devono connettersi a una vera filiera che non è solo tra chi produce e chi trasforma in modo manifatturiero, ma anche tra chi pensa, struttura e consuma i prodotti. A volte ci beiamo della bellezza o dell’utilità che diamo a un prodotto; peccato che quel mercato faccia fatica a riconoscerlo. Guardiamo quello che è successo ultimamente con mascherine, camici, guanti. Improvvisamente abbiamo scoperto che non ci sono: come mai? Perché a nessuno è mai interessato nulla di come si protegge la salute. La promiscuità era un fatto normale. Essere scoperti in settori strategici quale la salute dice quanto si sia pensato alle cose inutili e quanto si sia trascurato quello che è, invece, utile.
Guardiamo, ad esempio, all’agricoltura: noi dipendiamo per oltre il 60% delle provviste dei prodotti base alimentari dall’estero perché scambiamo le nostre materie prime, che sono i prodotti manifatturieri. Non ci accorgiamo che, a volte, la terra è bassa, servono persone per raccogliere i prodotti e questi oggi rischiano di rimanere marciti sui terreni e di non essere neanche trasformati dalle industrie”.
“Non ci rendiamo conto di quanto, invece, la logistica e la trasportistica siano orizzontali rispetto a tutte queste cose e, soprattutto, se la logistica non funziona, ci accorgiamo subito, come quando manca la corrente elettrica in casa, che può esserci un problema se questa situazione perdura nel tempo”.
“Interporto Pordenone – conclude Bortolussi – è, quindi, cosciente da tempo che questo è il suo ruolo e tutti gli sforzi vengono messi a disposizione di questa area, capace di vere conversioni, come ha sempre fatto nel tempo (oggi il Friuli Venezia Giulia sembra l’Eden, rispetto a come era prima del terremoto del 1976, di cui nei giorni scorsi ricorreva l’anniversario). L’Interporto sa di poter contare su un tessuto produttivo socio economico sensibile e importante. Bisogna lavorare insieme e condividere”.
Foto: Michele Missinato