Mentre i mercati finanziari cercano una direzione chiara, gli ultimi dati macroeconomici offrono un quadro misto tra segnali di ripresa e nuove incertezze, con al centro l’Europa e gli Stati Uniti.
Germania: segnali contrastanti tra fiducia e crescita
In Germania, l’indice ZEW sulla fiducia degli investitori è salito in modo deciso a marzo, passando da 26,0 a 51,6 punti, ben oltre le attese del mercato. Un dato che segnala ottimismo, almeno tra gli operatori finanziari. Tuttavia, il quadro economico generale resta debole: l’Ifo ha tagliato le stime di crescita per il 2025 allo 0,2%, segnalando scarsa fiducia dei consumatori e riluttanza delle imprese a investire. A pesare, anche le incertezze legate alle prossime decisioni politiche interne e internazionali, in particolare quelle degli Stati Uniti.
Intanto, sul fronte politico, il futuro cancelliere Friedrich Merz ha ottenuto il via libera a un piano di spesa pubblica da 500 miliardi di euro, con la collaborazione dei Verdi e dei Socialdemocratici. Una riforma che prevede anche una deroga al freno al debito per le spese destinate alla difesa, in un momento in cui la Germania cerca di rilanciare la sua economia anche tramite l’investimento pubblico.
Italia: export in crescita, ma torna il deficit commerciale
In Italia, i dati di gennaio segnalano un ritorno al deficit commerciale (264 milioni di euro), il primo da due anni, complice un forte aumento delle importazioni (+8,8%) rispetto all’export (+2,5%). Il saldo resta comunque positivo nei beni non energetici, ma si amplia il disavanzo energetico. Le vendite verso l’estero sono trainate soprattutto dal settore farmaceutico, mentre rallentano auto, abbigliamento e macchinari.
Intanto, l’Istat ha aggiornato i dati sull’inflazione di febbraio: il tasso annuo è all’1,6%, in lieve risalita, spinto dal rincaro degli energetici regolamentati. L’inflazione “core” scende leggermente, segnalando una dinamica ancora sotto controllo ma in fase di osservazione.
Stati Uniti: consumatori più cauti, crescono le attese d’inflazione
Negli USA, la fiducia dei consumatori è scesa nettamente a marzo, secondo i dati dell’Università del Michigan: l’indice è calato a 57,9 punti da 64,7, peggio delle attese. Crescono anche le aspettative d’inflazione, salite al 4,9% su base annua, probabilmente in risposta alle tensioni legate all’aumento dei dazi doganali voluti dal presidente Trump.
La Federal Reserve, pur mantenendo fermi i tassi, ha segnalato un atteggiamento più cauto: è stato deciso di rallentare il ritmo del Quantitative Tightening, riducendo il deflusso di liquidità dai mercati. Le stime di crescita sono state limate, mentre l’inflazione viene considerata temporaneamente in risalita, anche se giudicata “transitoria” da Powell.
Azionario: rimbalzo timido e selettivo
Sul fronte azionario, la settimana ha mostrato un tentativo di consolidamento, con Wall Street che ha provato a proseguire il rimbalzo partito a fine febbraio. L’S&P 500 tenta di costruire un minimo di breve periodo, mentre il Nasdaq 100 resta più appesantito dalle prese di profitto sui big tech, penalizzati dalle tensioni geopolitiche e dall’incertezza sui dazi.
In Europa, gli indici si sono mossi in linea con quelli americani, ma si percepisce un crescente interesse per il “trade No US”, ovvero l’idea di privilegiare le Borse europee ed emergenti rispetto a quelle statunitensi. In questo contesto, la Cina registra un momentaneo ritracciamento, mentre India e Corea mostrano segnali di ripresa più convincenti.
Il sentiment resta comunque fragile: i rimbalzi sono accolti con prudenza, e gli operatori sembrano più orientati a operazioni tattiche di breve periodo, in attesa di maggiore chiarezza sulle scelte di politica economica e sull’evoluzione dello scenario globale.
Obbligazionario: ritorno alla calma?
In questo contesto, i mercati obbligazionari hanno mostrato segnali di stabilizzazione. Il Bund tedesco decennale si è assestato attorno al 2,75%-2,80%, mentre il BTP italiano è leggermente sceso dal 4%, beneficiando di qualche acquisto. Negli USA, il Treasury decennale resta stabile attorno al 4,25%-4,30%, in un clima di relativa calma anche grazie alla trasparenza della linea comunicativa del Tesoro americano.
Nel complesso, l’indice Aggregate del mercato obbligazionario ha registrato un lieve recupero, grazie alla stabilizzazione dei governativi e al contributo dei corporate, che beneficiano di una riduzione del rischio “free” e di spread creditizi sotto controllo.
Dott. Alessandro Pazzaglia, consulente finanziario autonomo, www.pazzagliapartners.it