Rifiuti, Finanza scopre traffico verso la Cina e frode fiscale da 300 milioni
PORDENONE – La Guardia di Finanza di Pordenone ha eseguito, in varie regioni italiane, arresti, perquisizioni e sequestri su delega della Procura – Direzione Distrettuale Antimafia di Trieste, nell’ambito di un traffico illecito di rifiuti. Sono state eseguite 50 perquisizioni nelle provincie di Udine, Gorizia, Treviso, Padova, Belluno, Verona, Venezia, Brescia e Como su delega della Procura – Direzione Distrettuale Antimafia di Trieste. L’indagine delle Fiamme gialle ha portato alla luce una frode fiscale di 300 milioni euro, con trasferimento occulto in Cina di 150 milioni di euro. Sono indagate 58 persone: cinque le misure cautelari personali e tre gli arresti ai domiciliari. È stato altresì eseguito un provvedimento di sequestro preventivo per 66.000.000 euro.
Le indagini
L’attività investigativa ha permesso di scoprire un sodalizio criminoso a carattere transazionale che operava nella commercializzazione di materiali ferrosi e non, tra cui rame, ottone, alluminio. Le investigazioni, avviate nel 2018, si sono concentrate su anomale movimentazioni finanziarie tra un’impresa avente sede della Repubblica Ceca e una neo costituita azienda della Provincia di Pordenone.
Le successive indagini, condotte dal Nucleo di Polizia Economico-Finanziaria, anche mediante intercettazioni, pedinamenti, monitoraggi video, nonché captazioni informatiche, hanno consentito di ricostruire un diffuso e importante traffico di rottami metallici tra il periodo 2013 – 2021, per circa 150.000 tonnellate, che aggirava gli obblighi ambientali e di tracciatura vigenti, utilizzava fatture per operazioni inesistenti per vendere rottami ferrosi “a nero”, evadeva le imposte nonché, per sottrarsi ai previsti obblighi documentali di monitoraggio disciplinati dalla normativa ambientale, permetteva agli utilizzatori finali delle fatture di documentare costi mediante l’annotazione di documenti fittizi, con la relativa riduzione della base imponibile.
La banda
L’organizzazione criminale si è rivelata particolarmente complessa e articolata in quanto caratterizzata da una molteplicità di uffici, persone coinvolte, ruoli, mezzi utilizzati, imprese di trasporto, società italiane e straniere e sarebbe stata così appositamente modulata per consentire, attraverso la formazione, la redazione e l’utilizzo di documentazione totalmente falsa, l’illecito traffico di ingentissimi quantitativi di prodotto.
I principali promotori del consorzio criminale sono cinque uomini originari del Triveneto (tre dei quali con residenza in Svizzera) coinvolti nella gestione di tre società filtro ubicate nelle provincie di Venezia, Pordenone e Treviso. Tra gli ulteriori soggetti indagati risultano anche i coniugi di due dei principali artefici dell’associazione, accusati di riciclaggio per l’acquisto di alcuni immobili con risorse di origine illecita, nonché imprenditori residenti in 12 provincie utilizzatori di fatture per operazioni inesistenti. I provvedimenti cautelari personali sono stati interamente eseguiti nei confronti degli indagati, mentre sono ancora in corso le misure ablative per le quali sono state già sequestrate disponibilità liquide e beni immobili nonché tre società, compresi gli spazi aziendali, ubicate nella Provincia di Treviso e Belluno a tutt’oggi dedite alla prosecuzione delle attività criminose.
Gli artifici finanziari
Dopo la creazione, in Italia, di società ad hoc con funzioni di soggetti intermediari nel commercio di rottami metallici, venivano effettuate operazioni fittizie di acquisto di materiale ferroso all’estero da parte delle società interposte, giustificato da fatture per operazioni inesistenti, emesse da società compiacenti con sede nella Repubblica Ceca e in Slovenia. Tali acquisti intracomunitari, esistenti solo sulla carta, servivano da copertura documentale e contabile per far apparire come rottami lecitamente acquistati da imprese aventi sede all’estero, le quali ne attestavano falsamente la regolarità secondo i requisiti richiesti dalla normativa dell’Unione Europea.
La documentazione fiscale e ambientale generata dalle operazioni fittizie consentiva a terze aziende manifatturiere di operare la vendita di scarti di lavorazione metalliche “a nero”. La legislazione Europea, infatti, affinché i rottami metallici non siano qualificabili come rifiuto, prevede che il produttore debba redigere e trasmettere ad ogni cessione una dichiarazione di conformità, al fine di consentire, in ogni momento, l’individuazione dell’origine del rottame e, dunque, la tracciabilità dello stesso. Gli indagati, quindi, provvedevano a predisporre fittizie dichiarazioni di conformità aggirando, così, le disposizioni di legge.
I legami con la Cina e la frode carosello
Specifici approfondimenti investigativi sono stati, inoltre, rivolti ai profili finanziari delle attività in rassegna ove i pagamenti delle fatture venivano sempre condotti tramite bonifici bancari. In una prima fase investigativa, si è scoperto il movimento di circa 150.000.000 di euro all’estero da parte dell’organizzazione a favore di società “cartiere” Ceche e Slovene, ritrasferiti poi in Istituti di Credito ubicati nella Repubblica Popolare Cinese.
Il denaro inizialmente trasferito nei paesi dell’est Europa dagli italiani veniva bonificato in istituti bancari nella Repubblica Popolare Cinese e le somme ivi accreditate venivano contestualmente “compensate” con la rimissione di denaro contante non tracciabile consegnato in Italia dai referenti cinesi ai membri del sodalizio criminale italiano, operazioni che venivano condotte presso noti centri commerciali all’ingrosso cinesi di Padova e Milano dove il denaro veniva “passato di mano” all’interno di buste di plastica.
L’ingegnoso sistema permetteva pertanto di far giungere, mediante il sistema bancario internazionale, disponibilità finanziarie in Cina con modalità occulte, aggirando i presidi previsti dalla normativa antiriciclaggio. Dall’altra parte i membri del sodalizio criminale, grazie al descritto sistema di compensazione, ottenevano proprio in Italia quella liquidità cash necessaria per retrocedere i pagamenti per le fatture fittizie.
Dall’indagine emerge che sono state emesse fatture per operazioni inesistenti per 308.894.000 euro, oltre al trasferimento di 150.000.000 euro nella Repubblica Popolare Cinese.