MERCATO AZIONARIO
La settimana di borsa appena conclusa ha visto ancora una serie di sedute altalenanti, con la prima parte dell’ottava in cui gli indici hanno tentato la via del rialzo (l’S&P 500 si è spinto fino a quota 3.320) e, a seguire, un ritorno dei segni meno con il retest dei supporti di breve termine.
E questo a conferma della fase di consolidamento che stanno vivendo le borse, ancora inserite in un trend rialzista nato dalle ceneri dei minimi di marzo, quando la tempesta pandemica si era abbattuta sui mercati finanziari. Sul finire d’ottava da segnalare il ritorno di acquisti soprattutto sui tech, con chiusure sugli indici USA in buon recupero dai minimi (S&P 500 -0,6%, Nasdaq +2%).
E’ evidente dal newsflow sanitario che l’emergenza Covid non è in realtà affatto conclusa: i contagi progrediscono in tutte le aree geografiche mondiali e lo spettro tanto temuto di una seconda ondata in alcuni paesi (Francia, Uk, Spagna) è ormaI più che un’ipotesi. Quando questo possa condizionare le borse dipenderà ovviamente da due fattori: quanto l’impatto dei contagi si trasformerà in nuovi lockdown economici e quanto ancora banche centrali e governi potranno fare per contrastare gli effetti negativi derivanti da tutte le vicissitudini del 2020.
Sul primo punto, difficile prevedere il corso dei prossimi mesi, anche se le politiche degli stati, se pur diverse, tenderà ad evitare chiusure generalizzate. Un nuovo blocco delle attività economiche sarebbe disastroso per l’economia globale e in un contesto di competizione internazionale nessuno se lo può permettere. Sul secondo punto (il ruolo di autorità monetarie e governi) appare chiaro che gli Stati Uniti sono il paese che in questo momento sta vagliando con più attenzione nuovi piani di supporto all’economia, ma in un anno che prevede anche una incertissima tornata elettorale.
Ecco che, quindi, queste problematiche stanno rappresentando per i mercati le motivazioni principali per smaltire i risultati dell’ampio recupero da metà marzo (fino al 31 agosto, S&P 500 +53%, Nasdaq +74%). Da inizio settembre sono gli indici americani, in precedenza i più performanti, a pagare il maggior dazio, con l’S&P in drawdown di circa l’8% ed il Nasdaq del 12%.
Una correzione di breve termine che deve smaltire un recupero delle quotazioni degli indici avvenuto in concomitanza con utili in calo. Questa occorrenza, tuttavia, non è in alcun modo anomala o irrazionale: le borse, infatti, anticipano sempre quanto avviene sul piano macroeconomico e fondamentale. I Price Earnings si alzano in modo significativo per poi ripiegare quando i prezzi stornano o lateralizzano e gli utili, invece, consolidano e recuperano.
E’ questa la fase attuale dei mercati, nel contesto prima descritto che vede spesso andamenti contradditori. Nel breve, area 3.200 di S&P 500 sta delimitando la fase correttiva dando sostegno tecnico, da vedere se basterà o se vi sarà bisogno di un ulteriore approfondimento ribassista.
MERCATO DELLE MATERIE PRIME
Settimana negativa per le commodities che flettono in maniera generalizzata, con il paniere complessivo negativo di oltre il 3%. Pesa, in particolare, la debolezza del comparto delle materie prime preziose (Oro -4,6%, Argento -14,6%) ma anche di quelle energetiche, con il prezzo del petrolio in caso di quasi il 2,5%.
Incertezza economica e forza del Dollaro i principali driver che hanno guidato la settimana.
MERCATO OBBLIGAZIONARIO
Il clima di incertezza che sta vivendo l’equity sta portando a mantenere elevate le quotazioni delle asset class considerate ‘safe’ dagli investitori, in primis i titoli governativi. Nelle giornate più negative per l’equity si è visto in realtà più un mantenimento delle posizione che un incremento di valore: l’yield del Treasury decennale risulta infatti in un range laterale (0,60%-0,70%) da inizio settembre e l’abbassamento di volatilità si è ulteriormente rafforzato nel breve termine.
Il Treasury ha chiuso l’ottava comunque sui minimi settimanali in area 0,65%, imitato dal comportamento del decennale tedesco, in contrazione di qualche basis point e con un valore di chiusura sotto quota -0,50%. Il sentiment di maggiore avversione al rischio porta quindi gli investitori a prediligere ancora forme di protezione anche a discapito dei rendimenti, i quali rimangono ancorati al ribasso anche per effetto dell’azione delle banche centrali.
La Federal Reserve, che ha recentemente impostato una politica monetaria ancora più accomodante, spinge per un’azione coordinata anche in termini di incentivi e stimoli fiscali. La contesa elettorale negli USA non aiuta però a trovare nel breve una soluzione incisiva, anche se in settimana sono emersi spiragli, da parte democratica, per raggiungere un accordo complessivo (nuovo pacchetto di stimoli per 2.200/2.400 miliardi).
In Europa la situazione non pare così diversa, anche se in questo caso le speranze sono più di che altro di potersi accodare ad una ritrovata tonicità del ciclo economico globale, in attesa di poter utilizzare i fondi preposti nel Recovery Fund.
La BCE, nel suo bollettino, ha indicato di prevedere una ripresa nel terzo trimestre, sempre che non vi verifichi una significativa recrudescenza della pandemia. In ogni caso, il recupero economico ai livelli di fine 2019 non si avrà prima del 2022, il che attesta la lentezza nel riprendersi dagli effetti dei lockdown generalizzati, soprattutto per l’economia europea.
I riflessi economici negativi del contesto economico e lo scudo offerto dalla BCE portano al crearsi un clima ‘gelido’ in termini di tassi, di cui si avvantaggiano anche paesi non virtuosi come l’Italia. Le ultime aste del Ministero del Tesoro hanno visto una contrazione dei rendimenti rispetto alle offerte precedenti mentre l’yield del decennale italiano è sceso sui livelli di minimo degli ultimi anni (area 0,85%-0,90%), aiutati anche dall’esito elettorale neutro per il governo.
Sulle asset class legate al corporate si è avuta una tenuta sostanziale di quelli Investment Grade mentre tutto il segmento High Yield è stato oggetto di prese di beneficio, al pari dei titoli governativi dei paesi emergenti, in un contesto, quindi, di riduzione del rischio da parte degli operatori.
MERCATO VALUTARIO
In ambito valutario, torna a ruggire il Dollaro USA che si riprende lo scettro di valuta rifugio e rompe al ribasso il range di lateralizzazione degli ultimi due mesi verso l’Euro (1,175-1,20). La forza del Dollaro (close a 1,16) appare funzionale alla protezione dei portafogli, al pari di quanto visto anche sullo Yen giapponese.
Gli unici guadagni della valuta europea sono verso le valute nordiche (NOK e SEK) e verso quelle emergenti, queste ultime danneggiate dalla forza del Dollaro USA.
Dott. Alessandro Pazzaglia
Pazzaglia & Partners Consulente Finanziario Indipendente