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venerdì , 5 Dicembre 2025

Banche e Governo: se i Confidi minori scompariranno, che succederà?

Siamo nel 2025 e c’è un allarme, fin troppo evidente, che rischia di passare inosservato: i Confidi minori, sono ancora stretti tra regole sempre più complicate e costi insostenibili, che li mettono in ginocchio. Le normative, spesso pensate per giganti bancari, strangolano le loro piccole strutture. I costi della digitalizzazione, della compliance e degli adempimenti burocratici sono diventati macigni insostenibili. Mentre le banche chiudono i rubinetti del credito a chi non ha garanzie “perfette”, il Governo sembra sempre rincorrere l’ultima emergenza, i Confidi minori vivono una tensione costante: crescere per restare competitivi, senza però smarrire quella vicinanza al territorio e quel capitale di fiducia che costituiscono la loro vera forza.

Una prima risposta è già arrivata dalle reti di impresa, uno strumento capace di unire efficienza e identità locale. Ma la strada non è priva di ostacoli: servono visione strategica, governance chiara e la capacità di bilanciare interessi diversi.

Ho discusso della questione con il Presidente Alberto Rodeghiero di Asso112, la voce che difende i Confidi minori. In questo scenario critico, l’associazione Asso112 — Associazione Confidi Italiani (che rappresenta e supporta i Confidi minori, quelli dell’articolo 112 del Testo Unico Bancario), sta facendo un lavoro straordinario per aiutarli a resistere.

Che cosa fa un Confidi minore? Un confidi minore – quelli disciplinati dall’articolo 112 del Testo Unico Bancario – è un consorzio o cooperativa che aiuta le piccole imprese ad ottenere prestiti bancari fornendo garanzie collettive.
In pratica, se una banca non concede credito a un artigiano perché il suo bilancio non basta, il confidi si mette in mezzo e dice: “garantisco io per lui”.
Il confidi, quindi:

– Riduce il rischio per la banca;

– Rende accessibile il credito a chi non avrebbe chance da solo;

– Conosce personalmente le imprese del territorio, valutandole non solo dai numeri, ma dalla storia, dalla reputazione e dalla solidità reale.

Il paradosso della piccola dimensione. Diciamoci la verità: nel mondo del credito, le dimensioni contano. E parecchio. Quando una banca deve scegliere con chi lavorare, guarda prima di tutto i numeri: patrimonio, volumi di garanzie, solidità patrimoniale. Un confidi con 2 milioni di patrimonio non riesce a sedersi allo stesso tavolo di uno che ne ha 50.

Eppure – e qui sta il paradosso – questi confidi “piccoli” conoscono bene il territorio e la storia dell’azienda artigiana che ha attraversato tre generazioni e ora deve modernizzarsi per non chiudere. “Per noi non esistono solo i numeri del bilancio”, mi spiegava un direttore di un confidi. “Esiste anche il fatto che conosco personalmente l’imprenditore, so come lavora, conosco la sua famiglia”. Questo tipo di valutazione – chiamiamola ‘credito relazionale’ – è qualcosa che le grandi strutture fanno fatica a replicare.

La ricetta delle reti di impresa, che ti permette di crescere mantenendo la tua identità. In pratica, è come se più confidi decidessero di “fare squadra” per alcune attività specifiche, continuando però a operare autonomamente sui loro territori.

Economie di scala che fanno la differenza. Prendiamo la compliance normativa, una delle spine nel fianco di ogni confidi. Le normative sono sempre più complesse e richiedono competenze specialistiche. Un piccolo confidi deve spesso affidarsi a consulenti esterni per ogni aggiornamento, con costi che possono importanti. In rete, questi costi si dividono tra più soggetti.

Lo stesso vale per i sistemi informativi. Un software gestionale professionale che può costare troppo per un piccolo Confidi diventa sostenibile se diviso tra cinque o sei partner.

Il peso della negoziazione. C’è poi la questione del potere contrattuale. Un confidi con 5 milioni di garanzie in essere ha ben poco da dire quando tratta con una banca. Una rete che raggruppa confidi per 50 milioni complessivi può sedersi al tavolo delle trattative con ben altra autorevolezza.

“Prima dovevo accettare le condizioni che mi proponevano”, mi raccontava un direttore. “Ora, in rete con altri quattro Confidi, riusciamo a spuntare spread più bassi e condizioni migliori sui contro-fondi” (lo spread sui finanziamenti è il margine che le banche aggiungono al tasso di riferimento per determinare il tasso finale del prestito).

Il modello che funziona: federazione flessibile. Dall’esperienza sul campo emerge però un modello che sembra dare risultati migliori: la “federazione flessibile”. L’idea è semplice: condividere solo quello che conviene (formazione del personale, la compliance normativa, acquisto software), mantenendo autonomia operativa su tutto il resto. “Facciamo i corsi di aggiornamento insieme perché costa meno e la qualità è migliore”, mi spiegava il coordinatore della rete. “Ma quando si tratta di decidere a quale impresa concedere una garanzia, ognuno decide per sé”.

L’evoluzione digitale cambia le carte in tavola. C’è un altro aspetto da considerare: l’evoluzione tecnologica che sta cambiando più rapidamente il settore. Strumenti che singolarmente un piccolo confidi non potrebbe mai permettersi, ma che in rete diventano accessibili.

Serve la manovra del Governo per un potenziamento radicale dei fondi di garanzia dedicati a queste realtà. Sostenere i Confidi è un investimento strategico sulla stabilità economica territoriale, perché conoscono a fondo ogni singolo micro-territorio, ogni filiera prla finanza agevolata, anche per la doppia transizione, quella verde e quella digitale, per costruire i ponti tra le esigenze delle piccole imprese e il mondo della finanza. E di ponti così, che uniscano davvero i mondi invece di separarli, questo Paese ne ha sempre avuto un disperato bisogno.

Enrico Sgariboldi

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