Giornate cinema muto: Lubitsch, il restauro della Zarina

PORDENONE – La presenza di un film di Lubitsch nel programma di un festival è sempre un grande evento. Quando si tratta della prima mondiale di un restauro effettuato dal MoMA, con la Film Foundation in qualità di co-curatore del restauro e il sostegno della George Lucas Film Foundation, e che a presentare il film sarà la figlia del regista, ecco che allora il tutto assume le caratteristiche dell’eccezionalità.

Venerdì 12 ottobre alle ore 20.30 alle Giornate del Cinema Muto di Pordenone, Forbidden Paradise (La czarina, 1924), l’ultimo film della collaborazione di Lubitsch con Pola Negri, poco dopo il loro arrivo in America, reduci dai trionfi cinematografici europei. Lui, autore che segnerà la storia del cinema con il leggendario “Lubitsch’s touch”, lo stile leggero e sottilmente erotico delle sue commedie; lei, famosa internazionalmente per meriti artistici e per i tanti gossip legati a relazioni con celebrità quali Rodolfo Valentino e Charlie Chaplin. Nella sua molto fantasiosa autobiografia del 1970 Pola Negri afferma che l’ispirazione di Forbidden Paradise le venne leggendo la biografia di Caterina la Grande.

La verità è invece che il progetto fu fornito alla Paramount dopo il successo a Broadway di The Czarina, l’adattamento americano di un originale ungherese del 1912. Aria di Mitteleuropa quindi, anche se la vicenda del film si colloca in uno spazio-tempo indefinito. La zarina di Forbidden Paradise non è l’imperatrice di tutte le Russie, ma la regina di un piccolo regno al centro di amori e intrighi, che ha reminiscenze di una grandeur da ancien-regime ma nel quale compaiono i libretti d’assegni e le automobili.

Il film si conclude con una lunga sequenza che fa risaltare le emozioni sul volto di Pola Negri, uno dei grandi momenti interpretativi del cinema muto e col senno di poi possiamo oggi senz’altro affermare che non poteva esserci conclusione migliore per un sodalizio artistico così felice come quello tra il regista e l’attrice. Da notare tra gli interpreti maschili, oltre ai protagonisti Rod La Roque, il giovane tenente di cui si innamora la zarina, e Adolphe Menjou, il saggio ciambellano, una delle prime apparizioni di Clark Gable come semplice soldato della guardia imperiale.

Chiude la serata il film di Mario Bonnard Der goldene Abgrund. Schiffbrüchige des Lebens (Rapa-Nui, Atlantis, 1927). È il terzo film diretto da Bonnard in Germania, dove si era recato in seguito alla crisi economica che aveva colpito l’Italia dopo la fine della Grande Guerra. Il film è un pastiche melodrammatico che, puntando su un cast internazionale, maestose scenografie, esotiche scene in esterni e, in più, un pizzico di sesso, violenza e calamità naturali, vuole deliberatamente sfidare le grandi produzioni hollywoodiane. Bisogna dare atto a Bonnard di essere riuscito a dosare bene gli ingredienti e di aver confezionato una storia di avventure che fu molto apprezzata.

La giornata al Teatro Verdi inizia alle ore 9 con la proiezione di Ett farligt frieri (Un corteggiamento pericoloso, 1919) di Rune Carlsten, al suo debutto come regista. La storia è ambientata nella Norvegia dell’800 e racconta l’amore molto contrastato tra la figlia di un ricco possidente terriero e il figlio di un povero contadino interpretato da Lars Hanson, un attore molto presente nei film di questa edizione delle Giornate.

A seguire alle 10.15 per la rassegna The Parade’s Gone By… The Home Maker, 1925, di King Baggot, giudicato da Kevin Brownlow, curatore della rassegna, un classico dimenticato. Secondo lo storico Richard Koszarski il film è una delle poche opere drammatiche degli anni Venti del ‘900 a propugnare senza riserve l’abbandono dei ruoli di genere stereotipati e a criticare la struttura che impone tali comportamenti. Non a caso lo slogan scelto per lanciare il film fu “accenderà una discussione infuocata.”

Nella giornata di Lubitsch è curioso notare come già nel 1924 il suo stile fosse riconosciuto e apprezzato come marchio di fabbrica al punto che il critico del Los Angeles Times parlando di John M. Stahl disse che il regista americano avrebbe potuto ben figurare nella scuola viennese di regia. Tra i muti di Stahl, Memory lane (La fidanzata rapita, 1926) in programma alle ore 12, è un vero gioiello per la rievocazione affettuosa e lievemente satirica della vita della provincia americana, un esempio di melodramma sentimentale sobrio e brillante.

Lubitsch è stato uno dei registi preferiti di Ozu e, in un cortocircuito non si sa quanto casuale, entrambi i maestri sono presenti nel programma della stessa giornata. Alle 14.30 c’è il cortometraggio comico Tokkan kozo (Un monello incontenibile,1929) di Yasujiro Ozu, con il piccolo Tomio Aoki, enfant prodige del cinema giapponese nel ruolo di piccola peste. Nel film di Ozu viene rapito da una banda di banditi che alla fine pagano loro i genitori per liberarsi del bimbo capace di combinare un disastro dietro l’altro.

Restiamo nell’ambito del cinema giapponese con il genere saundo-ban, i film muti postsincronizzati, con Tokyo ondo, 1932 di Hotei Nomura. La canzone che dà il titolo al film fu il più grande successo dell’estate del 1933. Il testo celebra la grandezza di Tokyo e conseguentemente del Giappone come centro del mondo, in linea con lo spirito nazionalistico che pervadeva il paese dopo l’annessione della Manciuria.

Completano il quadro della giornata, alle 16, il film norvegese Troll-elgen (L’alce fantasma,1927), la leggenda di un alce dai misteriosi poteri, forse un fantasma in forma animale, che da anni sfugge ai cacciatori. È diretto da Walter Fürst, qui al debutto come regista, che in seguito lavorerà nella pubblicità e avrà anche un’esperienza politica molto discussa nella destra del suo paese.

Alle 18.30 torna John H. Collins con The Slavey Student, del 1915, che mette in luce il talento visivo del regista, la cui prematura scomparsa ha interrotto un percorso creativo tra i più interessanti del cinema muto americano. The Slavey Student è stato in anticipo sui tempi per alcuni procedimenti narrativi del tutto originali, e sarà sicuramente più apprezzato dal pubblico odierno anche per il finale “aperto” che lasciò tutti abbastanza perplessi. Anche la copia di questo, come degli altri film di Collins, è stata restaurata dal MoMA per le Giornate del Cinema Muto di Pordenone.




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